Introduzione
Che lavoro farete da grandi? È con questa domanda che inizia il nostro racconto, il nostro viaggio tra le trasformazioni del mercato del lavoro e del sistema educativo e scolastico. La nostra è una indagine sui radicali e rapidi cambiamenti in atto ma e' anche una proposta per il cambiamento dei modelli educativi e didattici proprio in funzione di quanto sta avvenendo con le professioni e l’occupazione. Ci rivolgiamo soprattutto alle giovani generazioni che si apprestano ad affrontare il lavoro senza gli strumenti adeguati, così come alle loro famiglie che possono contribuire a fornire questi strumenti. Ci rivolgiamo anche alle istituzioni e alla politica, e a tutti coloro che il cambiamento in atto dovrebbero anticiparlo, con proposte efficaci che possano proiettare l’Italia e l’Europa ai vertici del benessere e della capacità di fare innovazione.
Il nostro paese e il vecchio Continente devono tornare leader, modelli da seguire nella costruzione di una società sempre più aperta e plurale. Come per il passato, dobbiamo puntare sulla voglia infinita e sulla capacità dell’uomo di scoprire il mondo, di meravigliarsi per esso, e di proporre risposte e soluzioni sempre migliori ai problemi che di volta in volta ci si trova ad affrontare. La Scuola è l’istituzione sociale che, in modi sempre diversi lungo il cammino della nostra storia, ha reso progressivamente più efficienti i processi di apprendimento e di rielaborazione delle conoscenze. In altre parole, è il luogo dove gli uomini hanno potuto sistematizzare la conoscenza del mondo e sviluppare gli strumenti per elaborare e produrre conoscenza, e risolvere problemi complessi. A Scuola, forse il luogo più importante della socializzazione primaria, si impara a vivere. I modelli scolastici sono cambiati nel tempo, la scuola, cosi come la conosciamo oggi, non è sempre stata cosi. Le condizioni storiche contemporanee ci impongono di ripensare l'istruzione e di svilupparne un nuovo modello. La Scuola è sempre stata una palestra, prima ancora che luogo di insegnamento è stata un posto dove giocare, dove confrontarsi e soprattutto dove cadere, rialzarsi e crescere. La Scuola moderna ha perso queste caratteristiche, che dobbiamo invece riscoprire.
Il nostro messaggio vuole anche essere uno stimolo al cambiamento, non solo verso le istituzioni e tutti coloro che hanno in qualche modo a che fare con la scuola. Ai giovani ci rivolgiamo non per fare una predica o una pedante lezione di sociologia o di economia, ma per spronarli a capire quanto sta avvenendo intorno a loro. Li vogliamo incoraggiare a tornare ad essere quelli che erano, cioè curiosi, creativi ed imprenditori. Queste sono le tre parole chiave di questo testo. Sono anche le tre caratteristiche principali, a nostro avviso, che guidano l’apprendimento del bambino, che lo portano ad imparare a camminare, a parlare, a scrivere. Eppure sono i tre attributi che la Scuola tende ad anestetizzare con modelli didattici che si concentrano sul trasferimento di conoscenze per negare il gioco attraverso cui abbiamo appreso le capacità più importanti della nostra vita. Il mercato del lavoro e in generale i modelli produttivi di oggi, richiedono esattamente questi tre attributi: la propensione a scoprire il mondo, che poi è la fame di imparare; la proiezione a risolvere i problemi, che è la capacità di sviluppare soluzioni sempre diverse; e la volontà di intraprendere nuove sfide, cioè quello spirito pionieristico che ha portato l’uomo a saziare la sete di spiegare l’universo, non solo quello fisico, ma anche quello virtuale e spirituale.
Su queste tre parole proponiamo un modello di scuola alternativo, forse presuntuosamente innovativo visto le condizioni in cui ci troviamo.
Ma non è nulla di originale, perché si tratta semplicemente di imparare dai successi di modelli implementati da altri, come Maria Montessori, o dai tanti straordinari insegnanti pionieri che nelle loro scuole in giro per il mondo provano a rispondere alle esigenze del cambiamento e soprattutto, alla naturale richiesta dei loro discenti.
Con loro vogliamo motivare i tanti insegnanti in giro per l’Italia e l’Europa che hanno compreso che il mondo sta cambiando più drasticamente e velocemente di quanto siamo abituati ponendoci continuamente dinnanzi a situazioni nuove e complesse. Vogliamo motivare le nuove generazioni affinché diventino protagoniste della metamorfosi in atto, la afferrino e la divorino con la stessa voglia e foga di chi si è sacrificato per portarci fino a qui, in questo straordinario viaggio che è la vita.
Noi come i nostri genitori e i nostri nonni, e i loro nonni, avevamo un’idea chiara di quello che avremmo fatto da grandi anche se questo non significa che si fosse liberi di scegliere, soprattutto durante il periodo contadino e le prime fasi della società industriale. Chi scrive è stato più fortunato perché da bambino ha potuto sognare di fare il pompiere, il poliziotto, il calciatore, l’archeologo, il meccanico, di guidare il camion, persino di fare il Papa mentre la società terziaria si è lentamente allontanata dalla manualità.
Nella vita siamo finiti per fare quasi sempre tutt’altro. Le conoscenze e le competenze che si maturavano a scuola ci hanno tenuto occupati per tutta la vita. Era possibile cambiare luogo di lavoro ma non le mansioni da svolgere: le professionalità impegnate e richieste rimanevano le medesime. Il lavoro che si imparava a scuola è rimasto lo stesso per tutta la vita. Ci si poteva specializzare, migliorare, ma il lavoro quello era.
Domani sarà tutto diverso, forse il cambiamento sarà ancora più radicale di come stiamo provando a comprenderlo oggi. Le nuove generazioni cambieranno dai 5 ai 7 lavori in media. Non cambieranno 5 luoghi o datori di lavoro. Non passeranno nemmeno da un’occupazione che richiede più o meno qualifiche o garantisce un salario e condizioni migliori. No, si tratterà di professioni completamente diverse, che forse non esistono ancora nel momento in cui si accede al mercato del lavoro per la prima volta. In altre parole, l’ultima professione che sarà svolta non è ancora stata inventata quando si affronta la prima. Infatti, tra i presunti visionari del cambiamento sociale va di moda ripetere che il lavoro che faranno non è stato ancora inventato. Di alcune di queste professioni proveremo a raccontare nel capitolo 2, descrivendo quei lavori che sono stati inventati negli ultimi dieci anni e che fino ad allora erano inimmaginabili; proveremo anche ad ipotizzare i lavori del futuro, quelli appunto da inventare, attraverso l’analisi di quei settori, soprattutto tecnologici, che stanno progressivamente espandendosi, e che richiedono cervelli in grado di svilupparli.
Qui sta la sfida economica e sociale del futuro. Chi riuscirà a immaginare la traiettoria di sviluppo di questi settori e sarà in grado di controllarne i requisiti intellettuali, sarà in grado di guadagnare un vantaggio economico notevole, e quindi assicurarsi un benessere maggiore. Sono settori che richiedono conoscenze sempre nuove, e quindi la capacità di adattarsi costantemente a nuovi saperi. Essi richiedono professionalità diverse, e soprattutto l'essere in grado di produrre innovazione continua. Sembra un circolo vizioso, in realtà è una spirale che ad ogni giro compie un balzo in avanti: più innovo e più ho bisogno di innovare per continuare ad evolvere e migliorare le condizioni sociali ed economiche. Ieri era il web 2.0 oggi è l’industria 4.0, domani sarà qualcos’altro. Ciò che accomuna questa fase è l’automazione di prodotti, servizi e processi. È una fase in cui le mansioni tradizionali dell’uomo sono sostituite dalle macchine. Che fa l’uomo invece? Progetta e costruisce le macchine, inventa nuovi ambiti in cui queste possono muoversi. Intorno a questo tema si è aperto un filone di discussione molto importante perché riguarda e prova ad anticipare quello che avverrà nel mercato del lavoro. Il fenomeno dell’in-shoring è certamente un buon auspicio: il ritorno del lavoro dai paesi dove la manodopera e le materie prime costano poco, verso USA ed Europa dove siamo imparando, con tempi molto diversi da paese a paese, a puntare sulle conoscenze. Le macchine sostituiranno la bassa manodopera, le conoscenze creeranno le macchine.
Il problema è che la progettazione di robot, algoritmi e applicazioni, richiede una forza lavoro - che forse dovremmo chiamare forza intellettuale - altamente qualificata, ma quantitativamente scarsa. Così non riporteremo mai a casa i posti di lavoro esportati, e non creeremo mai il numero di posti di lavoro che perderemo o le macchine sostituiranno.
Almeno questo è quanto si ricava dalle prime osservazioni e su cui sarebbe opportuno aprire una riflessione, elaborare analisi più approfondite, e soprattutto prendere decisioni politiche. A monte vi è la scelta appena menzionata di puntare sulle conoscenze, cioè di puntare su questi settori, alcuni dei quali sono ancora dei semi, che richiedono competenze intellettuali e che appunto, rischiano di non creare i posti di lavoro che ci si aspetta. L’Italia e altri paesi in Europa, non sembrano avere preso questa decisione, quanto più sono in balia degli eventi. Ripensare le politiche industriali, o meglio ripensare il nostro modello di sviluppo diventa urgente se vogliamo mantenere e garantire alle generazioni future almeno il medesimo livello di benessere che abbiamo conquistato.
Serve dunque una visione del futuro, una meta verso cui dirigere il paese nei prossimi 2/3 decenni. Questa manca. Solo all’interno di questa cornice, di questa mission, si possono sviluppare politiche del lavoro, industriali e della scuola vincenti, ovvero in grado di creare posti di lavoro e produrre benessere. Il nostro contributo cerca proprio di fornire gli strumenti per elaborare questa visione. Proponiamo un’analisi di quanto si sta evolvendo intorno a noi, e ci preoccupiamo di fornire alcune domande, soprattutto sul mondo del lavoro, e di proporre delle risposte, almeno per quanto riguarda la scuola e l’ingresso nel mondo del lavoro. Lo facciamo analizzando il sistema scolastico, ma anche lo sforzo che alcuni operatori del mercato stanno mettendo in campo per ripensare l’educazione. Sono le imprese che formano, che entrano nelle scuole, che diventano esse stesse scuola.
Il nostro auspicio è che quanto abbiamo scritto possa diventare uno strumento utile per i nostri figli e le loro famiglie, ma soprattutto per chi ha l'ambizione di guidare il nostro paese e l’Europa con un progetto per il futuro.
Più di 55 milioni di americani sono freelancer, ed entro il 2020 saranno più del 40% della forza lavoro. Quasi metà dei lavoratori USA saranno self-employed, quello che da noi sono i liberi professionisti, ma senza ordini (per fortuna) e corporazioni che ne promuovano e tutelino gli interessi, oltre che a limitarne l’iniziativa. Insomma, la maggior parte dei nostri figli diventerà una forma ibrida di imprenditoria. Cambiano anche i contratti di lavoro, la flessibilità e il cosiddetto smartworking faranno si che anche chi lavora per, con o dentro ad un’organizzazione di qualsiasi dimensione, tenderà ad operare come un imprenditore.
Gli stessi modelli organizzativi sono indirizzati a stimolare il potere creativo ed imprenditoriale dei dipendenti, che non sono più tali, cioè non dipendono più da cariche superiori o da azionisti, ma sono una parte attiva dell’organismo organizzativo. Questa è una rivoluzione sociale che travolge le strutture tradizionali della nostra società. Noi ne forniamo una breve analisi che invece meriterebbe molta più attenzione, perché le implicazioni sono molteplici e comportano cambiamenti radicali nel nostro modo di vivere e soprattutto in quello delle future generazioni. Questi ultimi forse non saranno consapevoli di quanto sta avvenendo perché per loro sarà lo stato delle cose. Nascere self-employed sarà per loro la normalità, mente per noi, generazione di mezzo a questo punto, anello di passaggio tra due epoche sociali, è una rivoluzione che sta ribaltando qualsiasi paradigma, che porta dei miglioramenti nel nostro modo di vivere e nel livello di prosperità, ma che si accompagna con grossi shock per tutti coloro che questo cambiamento lo stanno subendo e faticano ad adattarsi. Ci sono una serie importante di questioni aperte e forse difficilmente risolvibili nel breve termine che riguardano le conseguenze di questo straordinario cambiamento. Se da una parte si favoriscono creatività, libera iniziativa, innovazione, dall’altra ci sono una serie di questioni che in questo momento restano irrisolte, come il livello salariale, le protezioni e la rete di welfare, che se non affrontate rischiano di trasformare una straordinaria opportunità in un incubo generazionale. Ripensare le politiche di sviluppo dunque significa anticipare qualsiasi trasformazione e ridurre l’impatto che potrebbero avere su di noi. L’analisi demografica e sociale, ma anche i cambiamenti nelle relazioni interpersonali, dimostrano che la società agricola e quella industriale sono lontane. La Società dell’Informazione che riproponiamo nella nostra analisi si sta manifestando impattando su tutti gli ambiti del sociale, con una serie di situazioni assolutamente impreviste. Quando il concetto di Società dell’Informazione è stato introdotto, la città, la casa, l’ufficio intelligente, la sharing economy, la sanità elettronica, e molti altri ambiti della Società Liquida non erano immaginabili. Oggi sono un dato di fatto che convince con un modello sociale ancora in parte industriale. Quanto veloce sarà questo passaggio ce lo diranno i libri di storia, così come esso dipende dalla nostra capacità di leggere l’evoluzione sociale e tecnologica e anticiparla, cioè quanto saremo in grado di pensare il futuro.
In questo contesto è urgente l’esigenza di coltivare e maturare un modello scolastico pedagogico che sia fisiologicamente complementare al mercato del lavoro e, in generale, ai cambiamenti sociali e culturali. Non solo, la Scuola dovrebbe anticipare e favorire la formazione di modelli di sviluppo sempre nuovi. Tuttavia, non possiamo aspettarci che questo possa avvenire in un sistema Scuola come quello tradizionale che è per sua natura chiuso e ostile a qualsiasi cambiamento di paradigma. La Scuola attuale è strutturata infatti in modo tale da assopire quando non sopprimere qualsiasi pulsione creativa e imprenditoriale.
Le ragioni sono molte e noi proviamo ad affrontarne alcune, a cominciare dal fatto stesso che l’autonomia scolastica in Italia è sostanzialmente incatenata alle gerarchie burocratiche che sono spesso incapaci di riconoscere e accettare la necessità di cambiamento. In realtà quanto noi proponiamo non è la semplice risposta ad un’analisi ai bisogni sociali e alle esigenze del mercato del lavoro che cambia.
Non vogliamo solo proporre un percorso di sviluppo per il paese e per l’Europa. Quanto discutiamo in particolare nel capitolo 3 è un pensiero che avremmo proposto e continueremo a sostenere anche se ci trovassimo in un contesto socio-economico molto diverso. La nostra proposta riconosce e valorizza la natura umana che come dimostriamo con l’aiuto della letteratura e di esempi passati ed attuali è molto diversa da come il sistema scolastico attuale la interpreta. Oggi la Scuola tende ad uccidere l’inclinazione umana alla curiosità, lo spirito imprenditoriale e la forza creativa. Noi proponiamo un modello scolastico diverso che per altro, ben si associa con le dinamiche della Società dell’Informazione o Liquida.
In verità, non vogliamo deludere nessuno, non proponiamo nulla di nuovo, ma riproponiamo e applichiamo alle dinamiche contemporanee quei modelli che si dimostrano efficaci, non tanto nei test delle agenzie di valutazione, quando nell’impatto che i giovani e gli studenti avranno sulla loro vita, su chi sta loro attorno e sul mondo. La Scuola Montessori, come altri modelli che raccontiamo, risponde meglio alla natura stessa del bimbo e di chi, anche in età più avanzata, deve affrontare un processo di apprendimento costante - long life learning. Di chi deve appunto allenarsi sempre per affrontare le sfide del Futuro.
La nostra non è una convinzione ideologica quanto il risultato di un’analisi empirica e comparativa che considera le caratteristiche di noi esseri umani con quelle ambientali e del particolare contesto storico in cui ci troviamo. La classe aperta o classe degli innovatori che proponiamo risponde precisamente all’evoluzione del modello Montessori, alla centralità del discente, alla libera iniziativa e alla responsabilità che ad esso viene data.
Prima di focalizzarci sulla scuola smart proponiamo un’analisi seppur superficiale delle dinamiche del mercato del lavoro e delle implicazioni che queste stanno avendo sul sistema sociale. Così nel capitolo 1 proviamo ad offrire una panoramica delle trasformazioni che stiamo sperimentando con particolare attenzione alle dinamiche dell’Industria 4.0 dell’Internet delle Cose, dell’automazione, della robotica, e della realtà aumentata. Non ci focalizziamo sugli aspetti puramente tecnologici e micro economici, quanto sull’impatto macro-economico e sociale che queste tecnologie stanno maturando. Non è un approccio determinista il nostro, quanto multidisciplinare in un contesto sociale in cui settori e discipline tendono a convergere come non mai. Come abbiamo anticipato, l’automazione e la digitalizzazione dell’industria, inclusa l’agricoltura e l’industria dei servizi, stanno sperimentando un grande beneficio la cui conseguenza più ovvia è la costante innovazione sociale ed economica, l’aumento delle libertà e della prosperità, cioè la società aperta.
È anche la conferma della leadership sociale ed economica globale rispetto a quelle economie che restano ancora ancorate al costo della manodopera poco qualificata. In questa cornice l’Italia si trova ancora nel limbo: da una parte la consapevolezza che per sopravvivere si deve puntare all’innovazione; mentre dall’altra vi è l’incapacità ormai congenita di favorire questo passaggio. Per farlo serve un cambiamento culturale a livello individuale, e serve soprattutto un piano di sviluppo politico. Non servono piccole riforme ma un piano complessivo di modernizzazione del paese e dell’Europa che in questo momento sembra viaggiare ancora a velocità molto diverse. La tecnologia crea opportunità, ma se non governata efficacemente rappresenta un enorme minaccia, così come il processo di globalizzazione. Noi vogliamo che i nostri giovani possano godere delle opportunità e che possano poi condividerle con i loro coetanei verso uno sviluppo armonico dell’umanità.
Nascono e muoiono le professioni molto velocemente così che molti dei lavori che ci saranno tra qualche anno non sono stati ancora inventati. Nel Capitolo 2 ci preoccupiamo di fornire una panoramica dei nuovi lavori ma soprattutto una metodologia che possa tornare utile a chi vuole allenarsi per il futuro. Vorremmo che le scelte non venissero fatte emotivamente o seguendo processi irrazionali ma analizzando le trasformazioni del mercato del lavoro i cui dati oggi sono incredibilmente disponibili. Se le professioni cambiano rapidamente, alla stessa velocità è possibile oggi individuare le traiettorie di ciascuna professione, anticipando anche quelle che devono ancora prendere forma. E’ una metodologia che indichiamo anche a chi si preoccupa di elaborare politiche industriali e del lavoro, proprio per elaborare scelte efficaci in materia di sviluppo sociale, fiscale o pensionistico. È inutile favorire con incentivi fiscali settori che sono destinati a morire, piuttosto sarebbe opportuno favorirne una dolce morte a vantaggio di altri ambiti verso i quali indirizzare la forza lavoro. Così come la riforma continua del sistema pensionistico dovrebbe prima di tutto fare i conti con i cambiamenti in corso e con quelli che registreremo nel medio e lungo periodo: la flessibilità in uscita potrebbe essere uno strumento - poco sostenibile - per chi non riesce a riqualificarsi oggi, ma non può essere utilizzato in eterno. Un paese che vuole sopravvivere decentemente deve pianificare un futuro in cui i cinquantenni e i sessantenni siano in grado di riqualificarsi e cambiare professione. Ecco perché serve una Scuola nuova, ecco perché serve un metodo di apprendimento diverso, ecco perché occorre prima di tutto crescere una generazione di innovatori che siano prima di tutto curiosi, creativi e imprenditori, e quindi capaci di adattarsi costantemente alle trasformazioni sociali, anche quando avranno un'età avanzata.
Il sistema dell’istruzione pubblica, infatti, sta vivendo un momento di grande cambiamento, in parte dovuto alle modifiche legislative del Governo Renzi, in parte dettato dalla necessità di ripensare ruoli, competenze e posizioni propri della scuola.
Tutte le riorganizzazioni dei sistemi pubblici nel nostro Paese si svolgono in un clima di grande confusione e incertezza, nel quale spesso prevalgono gli interessi di parte.
Senza la presunzione di offrire soluzioni, ma con l’obiettivo di indicare prospettive concrete e raccontare delle storie reali e possibili di aziende che hanno investito e continuano a scommettere sul futuro, i temi affrontati nel libro hanno come comune denominatore la necessità di costruire percorsi virtuosi perché il nostro Paese si riappropri, valorizzandolo, del suo patrimonio più importante: la passione e la creatività dei giovani.
I capitoli 4 e 5 sono dedicati rispettivamente ad alcune imprese che hanno investito sui giovani soprattutto durante gli anni della crisi economica, e a quelle nuove opportunità offerte da un settore tradizionale, come l’agricoltura, che nell’anno dell’Expo dedicato alla nutrizione del pianeta, si sta radicalmente trasformando anche in Italia e ha bisogno di nuove competenze e dell’entusiasmo dei giovani.
Prima ancora che essere uno sforzo scientifico il nostro è un invito alla consapevolezza che il cambiamento è prima di tutto un’opportunità ma deve e può essere anticipato. Il nostro è un richiamo all’urgenza di preparare il terreno per le generazioni future, in modo che lo si possa seminare insieme, affinché la Scuola possa meglio riconoscere la natura umana e valorizzarla invece di inibirla.
Non è un manifesto politico, ma un richiamo affinché le scelte politiche siano di lungo termine e possano essere pianificate sulla base del monitoraggio costante di quello che avviene e avverrà.
Serve una visione per l’Italia e per l’Europa, affinché possa continuare il progetto, seppure ancora debole, di costruire una società aperta, più prospera e più libera, che si manifesti anche attraverso la leadership globale il cui obiettivo non è egemonico ma armonico, proprio a vantaggio di chi verrà dopo di noi.
Noi crediamo che la Società Aperta sia la Società dell’Innovazione, cioè la società in cui gli individui operano in armonia a livello globale perseguendo la loro curiosità, creatività e imprenditorialità, per ipotizzare soluzioni innovative a problemi sempre nuovi e diversi, soluzioni che non mirino unicamente alla richiesta personale ma che ambiscano a consolidare, e a definire, il ruolo degli essere umani nell’universo.